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Pavesi e la sciarada lombardo-veneta

La nomina dell'ex numero uno dell'Ulss 8 berica a direttore generale della sanità del Pirellone è figlia di una scia di eventi che affondano le radici negli anni '90 seguendo un fil Rouge che lega Verona, Vicenza, Padova, Venezia e la città della Madonnina

Quando i media hanno dato la notizia della dipartita alla volta di Milano del direttore generale dell'Ulss berica Giovanni Pavesi tanto è stato scritto, compreso il suo pedigree bocconiano, sulle doti professionali del manager pubblico che peraltro gli vengono riconosciute da molti suoi collaboratori in terra berica: grande dimestichezza con l'arte della contabilità, grandi capacità nella analisi dei flussi finanziari e soprattutto grande accortezza e grande scaltrezza nel muoversi in quella terra di mezzo tra politica e vertici delle aziende sanitarie che da anni sono croce e delizia della storia degli enti pubblici del Belpaese.

IL CORONAVIRUS E LA SEDIA CHE SCOTTA
Per di più si tratta di doti che molto avrebbero pesato nella scelta fatta dall'assessore alla sanità lombarda (ossia il vicepresidente Letizia Moratti), che ha chiamato Pavesi a capo della direzione regionale del welfare lombardo: una sedia che scotta per le note vicende legate ai rovesci da coronavirus cui è andato incontro il Pirellone in questi mesi. Anche se la sedia rimane di assoluto prestigio e responsabilità non foss'altro per il budget pluri-miliardario che la sanità di quella che fu la «Marca del Sacro romano impero» deve gestire ogni anno.

PRIMI MAL DI PANCIA
Tuttavia come accade sempre quando in ballo ci sono nomine di alto livello l'arrivo di Pavesi in terra lombarda non è passato inosservato. Come ricorda Affariitaliani.it le opposizioni in seno al Consiglio regionale lombardo non l'hanno presa benissimo. Tra queste c'è il consigliere democratico Carmela Rozza che ai taccuini di Milanotoday.it ironizza sul fatto che Moratti non sia riuscita per quell'incarico a trovare un manager pubblico lombardo.

UN PASSATO AI RAGGI X
Ma i ritratti a tinte più forti sono arrivati da alcune testate nazionali. Su queste svetta «il Fatto quotidiano» che in un servizio del 19 febbraio in pagina 8 titola così: «Per coprire il flop, Moratti silura il capo della Sanità e s'affida all'ex tangentista». E così d'un baleno sul capo di Pavesi si sono materializzati gli spettri del passato quando lui, figlio di un pezzo da novanta della Dc scaligera finì invischiato in una storiaccia di tangenti. Una storiaccia che gli stroncò la carriera politica allora in ascesa irresistibile anche per l'onta dell'arresto che lo stesso Pavesi junior dovette patire.

CAVE E MAZZETTE
Come ricorda il Fatto la vicenda riguardò la trasformazione (si parlò di affari miliardari quando c'era ancora la lira) di una cava in discarica, di mazzette, di finanziamento pubblico ai partiti e di corruzione (all'epoca il caso venne ribattezzato scandalo o affaire della cava di San Massimo). Giovanni e il babbo Alberto, quest'ultimo un vero ras del potere democristiano nella città di Giulietta e Romeo, ne uscirono con le ossa rotte e con la reputazione malconcia patteggiando una pena.

LA TANGENTOPOLI VENETA
Erano i primi anni '90. Gli anni della Tangentopoli veneta durante i quali la facciata (ma non il back-office né le segrete stanze) del potere di Dc, Psi e Pci, venne pesantemente compromessa. Gli anni in cui gli articoli degli inviati dei quotidiani nazionali, come quello di Giuseppe Turani su Repubblica intitolato «Verona, scandali & misteri» facevano tremare i palazzi dei pubblici poteri veneti. Per di più della eco dell'affaire San Massimo si trova una traccia indelebile negli atti di Montecitorio (documento IV numero 349 del 14 maggio 1993). Si tratta della richiesta di autorizzazione a procedere trasmessa dall'allora ministro della giustizia Giovanni Conso alla Camera dei deputati che riguardava l'onorevole socialista scaligero Angelo Cresco.

AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE
In quel documento nero su bianco si legge: «L'avvocato Alberto Pavesi, all'epoca presidente della Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, oltre che rappresentante di rilievo della corrente dorotea della Dc locale, aveva intrapreso trattative assieme ad Adriano Bauli, imprenditore veronese e Alberto Stringa geologo, allo scopo di acquisire una vecchia cava dismessa da utilizzare, previa esecuzione di tutte le opere indispensabili e previo ottenimento della necessaria autorizzazione amministrativa come discarica».

«DELEGATI ALLA RISCOSSIONE DI TANGENTI»
Poi un altro passaggio: «A tale fine aveva promesso a Carlo Olivieri prima e a Roberto Bissoli poi... il primo vice presidente della provincia, il secondo segretario provinciale della Dc ed entrambi per loro esplicita ammissione, delegati alla riscossione delle ...tangenti... rispettivamente per la corrente  della sinistra Dc e per quella dorotea... un compenso per i partiti... da intendersi destinato sulla base di accordi preesistenti anche al Psi locale... ed una diretta partecipazione ad una società da costituire per la gestione di discariche, tutto ciò allo scopo di favorire l'esito positivo della relativa pratica amministrativa tesa all'ottenimento della autorizzazione». 

«GIOVANNI FIGLIO DI ALBERTO»
Appresso il passaggio chiave: «Sempre a tal fine Pavesi Giovanni figlio di Alberto, e successivamente assessore comunale Dc, aveva costituito la Sta srl riconoscendo il 48% delle quote ad una società fiduciaria che agiva nell'interesse ed a nome della segretaria di Gastone Barini prima e direttamente di quest'ultimo, poi, già assessore provinciale alla ecologia ed all'epoca sindaco di Isola della Scala».    

AMBIENTI AZZURRI
Nel frattempo gli anni passano. Giovanni Pavesi si rimette in sella e sulla scia di «solide amicizie negli ambienti» di Fi, il partito che portò a palazzo Balbi Giancarlo Galan, poi affossato dallo scandalo Mose, entra nel giro degli enti pubblici veneti: così racconta per vero Giuseppe Pietrobelli giustapposto su il Fatto del 19 febbraio. Ad ogni buon conto nel 2016 quando a palazzo Balbi da tempo Luca Zaia è in piena ascesa politica come governatore veneto in capo all'ala cosiddetta dorotea della Lega della ex Serenissima, Pavesi arriva al comando di uno dei bastimenti più importanti delle Ulss venete.

Il quale se non ha il tonnellaggio di una corazzata come l'ospedale di Padova o quello di Verona vanta comunque la stazza di una fregata di prim'ordine: si tratta infatti dell'Ulss berica che prima si chiamava 6, oggi 8, ma rimane sempre «quella dell'Ospedale di Vicenza» e di un pezzo dell'hinterland del capoluogo. Durante l'insediamento di Pavesi il Giornale di Vicenza scrisse un resoconto firmato da Franco Pepe in cui le luci sovrastarono le ombre: anzi le ombre del passato scaligero (cosa che si è ripetuta in questi giorni con i grandi quotidiani veneti) sono svanite al chiaro dei riflettori della ribalta mediatica vicentina.

«PASSATO BEN NOTO»
Tuttavia a palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale veneto, «il passato di Pavesi era ben noto sia alla opposizione democratica sia a quella del M5S» racconta un ex parlamentare dei Cinque stelle che chiede l'anonimato. «Si tratta di un passato imbarazzante in ragione del quale Zaia e Pavesi, politicamente parlando, sarebbero potuti finire a ripetizione nel tritacarne della minoranza, specie quella grillina. La quale avrebbe potuto senza sforzo azzannare il governatore e il manager alla giugulare ogni giorno. La cosa era nota a tutti i big del M5S del Veneto, veronesi, vicentini e padovani in primis, anche alla luce del fatto che proprio nella consiliatura durata dal 2015 al 2020 - continua l'ex parlamentare - il M5S si assicurò con Jacopo Berti la vicepresidenza della commissione sanità». Commissione che in una con la sede del consiglio regionale veneto si trova a Venezia peraltro. 

IL M5S SOPÌ GLI ATTACCHI? L'EX PARLAMENTARE E L'ANONIMATO
Una postazione quella della commissione dalla quale «sarebbe stato un gioco impallinare gli avversari. Ma ciò non avvenne perché dai vertici del M5S sia regionali che nazionali arrivò un ordine perentorio che bandiva le critiche a Pavesi giacché queste ultime avrebbero potuto impensierire Zaia in un momento cruciale. Quello della definizione dei destini della chiacchierata zona di Padova est nella quale una larghissima maggioranza trasversale da destra a sinistra, Cinque stelle inclusi, ha deciso di benedire la ubicazione del nuovo ospedale della città del Santo: un affare da miliardi di euro».

POTERI ALTO DI GAMMA
Ne scaturisce un'altra riflessione: «Alcuni esponenti di peso del M5S veneto ebbero contatti frequenti con alcuni ambienti alto di gamma del potere padovano. Contatti durante i quali i Cinque stelle furono istruiti sulla condotta da tenere rispetto alla vicenda spinosissima del nuovo ospedale padovano», vicenda ancora in itinere per vero. Comunque «fu quella l'occasione - racconta l'ex parlamentare - in cui mi accorsi che l'ammorbidimento progressivo del M5S sui temi più scottanti del Veneto non era solo il frutto dell'appeasement di chi entra piano piano nelle istituzioni dopo anni di lotta al di fuori di queste. Fu in realtà un percorso pensato a monte per inertizzare il dissenso evidente di un pezzo della società italiana verso un sistema asfissiante apparentemente cangiante ma sostanzialmente votato al perpetuazione di sé medesimo».

«CI SPUTANO IN FACCIA»
Appresso un'ultima considerazione: «Uno degli aspetti che più mi incuriosì di questo andazzo fu il silenzio del M5S quando a Vicenza deflagrò il caso delle accuse del professor Renato Ellero per un caso di malasanità e malagiustizia che a detta di quest'ultimo andrebbe addebitato proprio all'ospedale di Vicenza fino a pochi giorni fa sotto la supervisione di Pavesi. Ecco che il Pd sia rimasto senza favella dopo che per anni noi dei Cinque stelle lo avevamo accusato di ogni tipo di liason col potere di centrodestra e non solo ci può stare. Ma che anche in questo caso i Cinque stelle da sempre non abbiano fiatato - ricorda senza sosta l'ex parlamentare - quando non solo i consiglieri regionali ma anche i parlamentari veneti di peso sapevano tutto, la dice lunga sul fatto che oggi gli elettori grillini, dopo il sì al governo del tutti dentro guidato da Mario Draghi, giustamente, ci sputino in faccia. Me per primo porteremo tutti la colpa di tutto ciò per sempre: una colpa maturata nel nome del quieto vivere, delle rendite di posizione, dell'ignavia e di qualche accordo inconfessabile».

NIENTE REPLICHE DAI DIRETTI INTERESSATI
Ma rispetto alla parabola di Pavesi come la pensa Moratti? Come la pensano il governatore Zaia, l'assessore leghista alla sanità Manuela Lanzarin e l'assessore alla formazione Elena Donazzan? È vero che questi tre avrebbero avuto un peso nella nomina di Pavesi a capo dell'Ulss 8 berica anche in ragione della vicinanza del manager ad ambienti prossimi a Comunione e liberazione? E che cosa dice lo stesso Pavesi al riguardo? Chi scrive ha contattato il neo-direttore del welfare lombardo, la Moratti, nonché Zaia, Donazzan e Lanzarin per conoscere il punto di vista dei cinque rispetto all'intera vicenda: da nessuno però, almeno per il momento, è giunto qualsivoglia commento.

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